martedì 2 giugno 2020

Facendo appieno il nostro dovere, ognuno per la sua parte

Stiamo vivendo il periodo degli ossimori, degli estremi. Città e piazze vuote, case piene. L'impossibilità di portare avanti vecchie abitudini, abbondanza di tempo per scoprirne altre. Il tanto o il poco, o addirittura niente lavoro. La distanza fisica e la vicinanza tecnologica. La stanchezza di stare a casa e, a volte, lo stare a casa non è coinciso con il riposo, anzi. La morte e la vita; la rinascita e l'abbandono.

Ogni emergenza estremizza gli estremi, estremizza le divisioni e le disuguaglianze. Infatti appena il virus sembra perdere virulenza, s'rinvigorisce la polemica, lo scontro a discapito della collaborazione, della forza dell'unione, delle parole ponderate, delle azioni per il bene.

E allora il monito del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, diventa il faro che illumina il nostro quotidiano "Questo è tempo di un impegno che non lascia spazio a polemiche e distinzioni. Tutti siamo chiamati a lavorare per il nostro Paese, facendo appieno il nostro dovere, ognuno per la sua parte".

E' un impegno che esalta quei buoni propositi che hanno fatto salire alle labbra parole come "nulla sarà più come prima".

Ebbene sì, emergenza o non emergenza, il bene comune si fa sempre fatica a realizzare perché ha come prerequisito rinunciare a una parte dei propri privilegi e vantaggi.

Pensiamo alla bellezza delle nostre città con poco traffico. Alla mattina si sente il cinguettio degli uccelli, i nostri balconi hanno preso colore. Ci ha fatto assaporare una sostenibilità diversa della viabilità. Abbiamo rimesso a lucido le nostre bici e notiamo con piacere lavori su varie piste ciclabili e, per esempio, nei controviali di Torino, dopo essere stati riasfaltati, grandi cerchi bianchi e rossi con il numero 20 al centro hanno fatto la loro comparsa.

Sapremo portare a regime questa nuova viabilità? Sapremo mantenere i 20 km all'ora nei controviali nel rispetto di questa nuova sostenibilità? Potremmo pensare a una nuova sostenibilità del lavoro che regolamenti lo smart working nella gestione quotidiana di ogni azienda al di là dell'emergenza? Potremmo pensare a una vera didattica mista, costruendo nuovi percorsi di apprendimento che finalmente integrino alla didattica tradizionale, una didattica multimediale e non utilizzino la tecnologia solo come puro strumento di trasmissione dei contenuti a distanza.

Quante belle sfide. Tutte sostenibili "facendo appieno il nostro dovere, ognuno per la sua parte".

sabato 11 aprile 2020

Inglobare lo straordinario nel quotidiano



Ecco i gesti che riempiono di significato il vuoto delle parole e di prospettive che attualmente accompagnano il nostro attuale quotidiano. Dovremmo cominciare a rivivere e ripensare questo momento straordinario con semplicità e servizio, una semplicità e un servizio che il Sermig ci ha sempre insegnato, una semplicità e un servizio che sa parlare al cuore, una semplicità che non significa facilità, che crea nelle difficoltà un orizzonte, che sa inglobare lo straordinario nel quotidiano, che ci dà una visione di bellezza e di pienezza in un momento di sofferenza e di isolamento.
Dovremmo imparare a raccontarci questo tempo straordinario nella dimensione dell'ordinario, in modo che questo momento entri nelle nostre vite, plasmandole e donandoci nuovo nutrimento. Un imprevisto che, come dice Ernesto, va accolto e condiviso nella nostra realtà di vita attuale. Dove siamo, in una prospettiva quotidiana che costruisce il domani e le nuove prospettive che si aprono.
Grazie agli amici dell'Arsenale che attraverso il loro essere sanno parlare al cuore e alle vite di molti.

mercoledì 25 dicembre 2019

Buon Natale

“Una graziosa leggenda narra che, alla nascita di Gesù, i pastori accorrevano alla grotta con vari doni. Ciascuno portava quel che aveva, chi i frutti del proprio lavoro, chi qualcosa di prezioso. Ma, mentre tutti si prodigavano con generosità, c’era un pastore che non aveva nulla. Era poverissimo, non aveva niente da offrire. Mentre tutti gareggiavano nel presentare i loro doni, se ne stava in disparte, con vergogna. A un certo punto San Giuseppe e la Madonna si trovarono in difficoltà a ricevere tutti i doni, soprattutto Maria, che doveva reggere il Bambino. Allora, vedendo quel pastore con le mani vuote, gli chiese di avvicinarsi. E gli mise tra le mani Gesù. Quel pastore, accogliendolo, si rese conto di aver ricevuto quanto non meritava, di avere tra le mani il dono più grande della storia Guardò le sue mani, quelle mani che gli parevano sempre vuote: erano diventate la culla di Dio. Si sentì amato e, superando la vergogna, cominciò a mostrare agli altri Gesù, perché non poteva tenere per sé il dono dei doni” (raccontata da Papa Francesco, nella Basilica Vaticana, durante l’omelia della Notte di Natale 2019).

sabato 2 novembre 2019

75190 non è e non sarà mai solo un numero

Mi è sempre piaciuto conoscere l'etimologia delle parole e in questi giorni mi sono soffermata su due parole: disprezzo ed esperienza.
La prima, particolarmente in voga ultimamente, deriva, ovviamente, dal latino "dispretiare", dove pretium significa "prezzo" e il prefisso "dis-" codifica l'allontanamento, il distacco, la rimozione. Quindi il disprezzo è l'assenza di prezzo, di valore. Interessante, ma la seconda parola lo è ancora di più. Esperienza deriva sempre dal latino "experientia", "experiri"  che significa sperimentare. Se volessimo essere ancora più precisi, si compone della preposizione "ex" che indica "fuori di, da" e "periri" "andare". Quindi l'esperienza ci porta ad andare fuori dalla nostra, come si usa dire, comfort zone per sperimentare qualcosa che non conosciamo. Se volessimo andare un po' oltre la parola "periri" evoca la parola "perire". Infatti questa fuoriuscita da sé per andare incontro ad altro si porta dietro un lasciare qualcosa, l'abbandono di sicurezze per incontrare qualcosa che è incognita e di cui, solo successivamente, facciamo esperienza.
Mi si è aperto un mondo. Sicuramente ultimamente utilizziamo molto più la prima che la seconda. Disprezzare è qualcosa che non costa fatica, non ha un prezzo. Non prevede un dinamismo cognitivo. Basta prendere posizione contro qualcosa o qualcuno senza però comprendendolo, non facendone esperienza per cercare di capirlo. È un agire sociale a costo zero a cui si aderisce, il più delle volte, senza averne contezza. Pensando al mio quotidiano potrei fare mille esempi che mi coinvolgono anche in prima persona. Ma se volessimo fare i generici pensiamo solo alla mozione parlamentare della Senatrice a vita Liliana Segre.
L'esperienza, invece, non ha un costo zero. Anzi. Richiede coinvolgimento, studio, spostamenti, dialogo, ascolto, andando anche contro alle proprie convinzioni per, magari, cambiarle o modificarle. Quanto dispendio di energie.Sicuramente un'azione che non può essere fatta con un post o un like lanciato dal proprio divano di casa. Perché l'esperienza prevede un dinamismo cognitivo che solo la rete non può dare; perché la rete è tutto, ma non è esperienza come l'abbiamo descritta.
Solo l'esperienza quindi ti permette di disprezzare con cognizione di causa e soprattutto avendone contezza. Il disprezzo senza esperienza ha una presa emozionale e un'adesione immediata, ma non dura. Infatti l'esperienza non ti porta al disprezzo tout court, ma a sperimentare politiche, organizzazioni, condivisioni, per far sì che emerga il valore delle tesi che tu sostieni.
Per ritornare alla questione della mozione parlamentare della Senatrice Segre, chi più di lei può darci testimonianza e ci possa raccontare cosa significhi fare esperienza del razzismo e dell'antisemitismo?
Nessuno. Chi sostiene il contrario, con diverse forme di comunicazione, avvalorando il proprio disprezzo, vuol dire che non ha fatto esperienza del significato di essere perseguitati a causa della propria razza; o meglio, ha preso posizione senza essersi messo in gioco in prima persona, senza pensare che la stessa cosa potrebbe capitare a tutti, nessuno escluso.